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ANCHE NOI SIAMO COME TOMMASO

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VITA DI COMUNITA
n. 1865 – 19 aprile 2020 – 
Gv 20,19-31

Il brano del Vangelo di oggi, ci presenta Tommaso, un Tommaso che non si fida della testimonianza degli Apostoli quando gli dicono “abbiamo visto il Signore”, ma vuole vedere, “toccare”, verificare di persona (lui era essente quando Gesù era apparso).

Tommaso, era una creatura in movimento, uno che cercava, che non si accontentava, che intendeva verificare di persona, che non accettava a scatola chiusa le risposte altrui. Tutti lo hanno descritto come un incredulo. Eppure, leggendo bene il racconto di Giovanni, si capisce subito che lui al Rabbì ci ha creduto, fin troppo. Dalle sue parole si intuisce l’amarezza che ha sconvolto il suo cuore all’indomani della croce…

Lui non era incredulo, forse credulone, con l’entusiasmo che lo contraddistingueva tra i Dodici. E quella croce inattesa, aveva messo fine anche al suo sogno e forse mentre ascoltava i suoi compagni le sue ferite avevano sanguinato.  Per noi oggi, non dovrebbe essere difficile riconoscerci nell’atteggiamento di Tommaso, in un certo senso precursore di una certa mentalità dominata dalla tecnica, tipica dell’era industriale, per cui conta ciò che si può vedere, toccare, pesare, misurare, analizzare, calcolare.

Quello che ci manca è il modo di conoscenza “per contemplazione” in cui i sensi sono sostituiti dal silenzio, dall’attenzione, dallo stupore, dall’amore, dall’intuizione, dalla poesia. Non siamo più capaci di riconoscere ciò che supera le nostre capacità naturali. Il mistero ci è estraneo ed è diventato oggetto di sospetto e perfino di derisione. Siamo ossessionati dall’avere, godere, produrre, consumare e non ci accorgiamo che così la nostra vita si impoverisce banalizzandosi. Non riusciamo più a scoprire il “senso autentico della vita” perché siamo troppo affannati a migliorare il nostro tenore di vita. Dio viene ignorato, escluso e diventa superfluo, non ci interessa più.

Tommaso, per nostra fortuna, non è stato un campione, un primo della classe, un eroe… Ha camminato con le proprie gambe e tanta sofferenza dentro, senza cedere alla stanchezza e alla sfiducia. Cristo lo ha atteso pazientemente, anche se è arrivato ultimo. E aspetterà anche noi e non importa se arriveremo con un po’ di ritardo a credere, l’importante è che arriviamo un po’ prima di incontrarlo.

Allora, quale il messaggio?

Gesù non ci obbliga a credere, ma continua semplicemente a ripeterci: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”. La nostra grande scommessa e il nostro grande rischio, dunque, sta proprio qui: amarlo pur non vedendolo, sopportando la sua lontananza, che non è un’assenza. E non importa se per farlo, arriveremo in ritardo. Gesù offre a tutti i ritardatari una possibilità. Accostiamoci, allora, a Lui senza paura, Lui ci accoglierà con dolcezza, pace, tenerezza. E solo allora, trasformati dalla sua presenza, dal nostro cuore usciranno le parole più semplici per dire la cosa più grande: “Mio Signore e mio Dio!”